Super Eno-eroi di montagna – Decantico

Super Eno-eroi di montagna

Vuillermin, Petit Rouge, Fumin, Vien de Nus, Cornalin, Majolet, Bonda, Prëmetta, Prié Blanc… se all’interno del vostro vocabolario enologico declinate con disinvoltura queste cultivar, allora potete passare all’articolo successivo, se invece pensate che questo sia l’elenco dei più famosi autori del neorealismo francese, forse potreste dedicare qualche minuto alla lettura di poche righe dedicate alla viticoltura in Valle d’Aosta.

Il patrimonio ampelografico della Valle d’Aosta è inversamente proporzionale alla sua estensione geografica. La varietà dei terroir e i differenti microclimi completano il quadro della biodiversità della più piccola regione italiana. Un’unica DOC “Valle d’Aosta” o “Vallée d’Aoste” suddivisa in numerose sottozone (Arnad-Montjovet, Blanc de Morgex et de La Salle, Chambave, Donnas, Enfer d’Avrier, Nus, Torrette) che si susseguono lungo la valle scavata dal fiume.

Viticoltura eroica

Percorrendo l’autostrada che porta da Milano verso il massiccio del Monte Bianco, è difficile non notare sui versanti soleggiati i terrazzamenti dove fin dai tempi dei romani si coltiva la vite sui caratteristici muretti a secco e i colonnati della pergola valdostana. Il pensiero del distratto viaggiatore andrà forse alla determinazione di questi viticoltori che coltivano frammentate terrazze addossate alla montagna, ma sarà soltanto fermandosi per un attimo, con il naso all’insù verso quelle vigne che dribblano la roccia, che si avrà l’epifania di cosa significhi viticoltura eroica

Il cru del Torrette incastonato tra le rocce granitiche

Le vigne della Valle d’Aosta sono hanno un rapporto simbiotico con l’impervio territorio alpino. Se da un alto la montagna infonde ai vini profumi e caratteristiche distintive, dall’altro pone l’aitante vigneron di fronte ad una sfida ardua: farsi custode di un patrimonio ampelografico e di un terroir da preservare, con basse rese e faticose ore di duro lavoro manuale, senza il conforto della meccanizzazione. La legge di mercato non potrà mai ricompensare in modo adeguato gli sforzi compiuti, ma come consolazione il vigoroso vignaiolo potrà fregiarsi dell’appellativo di eroe: oneri e onori!

Il CERVIM, Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana, con sede ad Aosta, ha fissato precisi requisiti per definire un vigneto eroico

  • altitudine oltre i 500 m s.l.m.(ad esclusione degli altipiani);
  • pendenze superiori al 30%;
  • coltivazione su gradoni o terrazze;
  • coltivazione su piccole isole

Un vigneto eroico, per essere considerato tale, deve soddisfare almeno uno.

A Saint Pierre, un paesino di circa 3000 abitanti, a una manciata di chilometri da Aosta, ho avuto il piacere di incontrare uno di questi eroi: André Pellissier, che come tutti i supereroi ha una duplice identità: in inverno maestro di sci sulle piste di Courmayeur e durante l’intero anno giovane viticoltore eroico.

Si scendono gli stretti scalini di una della casette del borgo e si arriva nella saletta da degustazione, una suggestiva cantina (la bat-caverna!). Qui, tra le pareti di scura roccia valdostana, davanti ai calici poggiati sul tavolo da lavoro del nonno falegname, André racconta la sua storia e il suo amore per i vini rossi. 

La prima vendemmia è la 2017, super annata per il suo Syrah, sebbene qui sia  ricordata per le famigerate gelate primaverili che in alcuni casi hanno compromesso il raccolto .

Il bisnonno possedeva circa un ettaro di vigna, il papà, pur svolgendo un altro mestiere, conferiva le uve ad Anselmet, storica azienda valdostana. André ne è affascinato e quel piccolo appezzamento inerpicato tra la roccia lo induce a legare il suo futuro a queste vigne. 

Siamo nel cuore del cru del Vallée d’Aoste Torrette DOC (anche se l’ampia denominazione comprende undici comuni intorno ad Aosta), un vero e proprio Grand Cru Classé, la cui migliore espressione si ha nel Petit Rouge, il vitigno autoctono a bacca rossa più coltivato della regione,  ma intimamente legato a questo distretto del vino alpino. Uva dalla grande piacevolezza, dal buon tenore alcolico, ma dalla struttura piuttosto esile e con un’acidità che negli anni tende a scemare, ragion per cui nel Torrette viene assemblato con vitigni più acidi e corposi, come il Fumin.

Attualmente, tra vigne di proprietà e affitto André gestisce circa tre ettari, tutti circostanti al comune di Saint Pierre,, ad una altezza compresa tra i 700 e i 900 metri, eroici per l’appunto!  Alcune di loro sono vieilles vignes con più di 80 anni: alta densità di impianto e basse rese. La produzione media annua si assesta intorno alle 15.000 bottiglie. 

Dal 2023 l’azienda lavora in biologico, ma da sempre, grazie al clima ben ventilato che favorisce la sanità delle uve, i trattamenti in vigna sono pochi, tutti svolti rigorosamente a mano vista la ripidità del terreno che non consente la meccanizzazione.

Attraverso le suggestioni dell’etichetta, nera come le scure rocce dei tetti di ardesia, la A di André evoca il profilo delle sue montagne, la dura roccia, quella tra cui è incastonata la vigna di Saint Pierre: “roccia sopra, roccia sotto, per la maggior parte depositi di granito di origine glaciale” – racconta André –  e nel mezzo lo storico cru di verdi filari a Guyot.

La sua scelta, per destino e per passione, è di vinificare sei etichette di sole uve rosse, una ovviamente dedicata al Torrette, nella versione Supérieur. 

Tranne che per due eccezioni, il Pinot Noir e il Syrah, vinifica soltanto uve autoctone, le stesse che ritroviamo nella bottiglia dall’evocativo nome di Bouquet. È un uvaggio, come detta la tradizione, perché un tempo in vigna non si facevano differenziazioni e si piantavano diversi vitigni, ognuno con una diversa maturazione, che poi venivano vinificati insieme durante un’unica vendemmia, compensandosi l’un l’altro. Nel calice ha un bel colore rosso rubino, è giovane e fragrante, dai sentori fruttati e floreali, con vibranti note minerali.

Gemma della collezione è il Sancto Petro. Il nome è un omaggio alla prima famiglia proprietaria del castello di di Saint Pierre, maniero di disneyana fattura, che dall’alto di uno sperone roccioso domina il borgo. Per la produzione è stata recuperata una storica tradizione vinicola valdostana, che prevedeva l’appassimento delle uve, per sopperire al fatto che le temperature fresche non sempre garantivano una perfetta maturazione. Questi vini venivano definiti “forzati”, immediato il rimando allo “Sfurzat” della Valtellina. 

Si tratta di un petit rouge in purezza, i grappoli nelle cassette vengono posti in cantina per circa un mese. È un vino secco, senza residuo, con un volume alcolometrico ben percepibile, con note di frutta matura e di confettura, bilanciata da una bella acidità che rende il sorso fresco e piacevole.

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