La viticoltura eroica: laddove l’impresa è epica
Se ci chiedessero di enumerare qualche eroe epico, faremmo probabilmente il nome di Achille, seguito da quello di Ulisse, Ercole, Sigfrido e magari Artù; per quanto le loro gesta possano oggi apparirci sfuocate, sono tutte però accumunate da un tema ricorrente: l’atto di coraggio, straordinario e generoso, si compie sempre a fronte di un estremo sacrificio.
Proprio questo, in fondo, avvicina i nostri eroi del vino ai paladini da epopea; i primi sono, infatti, vignaioli che superando ostacoli e fatiche – al pari di epiche prove – si impegnano in una viticoltura che non è mera produzione ma anche – e soprattutto – conservazione e tutela di territori fragili, preservati conseguentemente dall’abbandono e dall’accanimento dei cambiamenti climatici.
Stando poi al CERVIM, Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura Montana, nonché organismo internazionale nato con il compito di promuovere e salvaguardare la viticoltura eroica, i criteri che identificano quest’ultima sono da associarsi alle specifiche caratteristiche di un territorio: pendenza del terreno superiore a 30%; altitudine superiore ai 500 metri s.l.m.; sistemi viticoli su terrazze e gradoni; viticoltura delle piccole isole.
La viticoltura eroica contempla, quindi, un grande sacrificio; le condizioni ambientali estreme rappresentano una sfida per la coltivazione, la cura della vigna, la raccolta e, infine, il trasporto in cantina. Nella maggior parte dei casi, infatti, proprio per la peculiarità del territorio, ci si deve confrontare con l’impossibilità di meccanizzare le operazioni; la gestione della vigna è, pertanto, prettamente manuale, con uno sforzo fisico non indifferente, soprattutto se si considera che, nel caso della viticoltura eroica, un ettaro di vigneto richiede, in media, 1800 ore di lavoro annue contro le 60 canoniche.
Inoltre, molti dei vigneti di cui i nostri eroi del vino si prendono cura sono sopravvissuti a guerre, spopolamento, carestie e persino fillossera; la loro, quindi, è anche una lotta contro l’oblio, a tutela di una memoria che non è solo paesaggistica ma anche storica.
Singolarità a parte, le evidenze di un tale eroismo sono innumerevoli, si va dalla Valle d’Aosta al Monferrato, dalle Cinque Terre alla Valtellina, dai Colli Apuani alla Val di Cembra, dall’Elba a Ischia, da Pantelleria a Ustica.
A molti eroi del vino, poi, va anche riconosciuto il merito di aver saputo indicare, per la viticoltura del proprio territorio, la rotta da seguire. Tra questi Marisa Cuomo -con le sue viti a strapiombo sul Golfo d’Amalfi -; Heydi Samuele Bonanini, dell’azienda agricola Possa, che non si fa spaventare dai pendii vertiginosi di Riomaggiore; Gelmino e Cristina Dal Bosco, di Le Battistelle, che nella zona di produzione del Soave Classico lavorano indefessamente tra i muretti a secco, costruiti con pesanti rocce vulcaniche.
In definitiva, se, come insegna il poeta, la fama degli eroi spetta in parte alla loro audacia, certi vignaioli coraggiosi se la sono arditamente guadagnata.
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