Vino Kosher – Decantico

Vino Kosher

Un viaggio alla scoperta di un prodotto sacro (e di 5 curiosità)

Che cos’è il vino kosher? Da buoni amanti dello studio, partiamo dalla definizione della Treccani: kāshēr (o kōsher) In ebraico significa «conveniente, giusto, adatto»; in particolare, “è detto di persone che agiscono secondo le prescrizioni rituali o di cose (soprattutto il cibo) che sono conformi a esse”. 

Ci stiamo quindi approcciando ad un vino “idoneo”, ovvero all’altezza di esser consumato secondo i precetti della legge, della Torah. Tuttavia non parliamo solo di vino, ma anche la vite, la vinificazione e tutte le persone che gravitano attorno a questo prodotto devono esser kosher. Ma andiamo per punti… 

Innanzi tutto esistono tre tipi di vini “idonei”: 

  • vino kosher. Un vino da utilizzare quotidianamente (ma non durante lo Shabbat!);
  • vino kosher Pesach. Un vino che oltre ad esser kosher non è mai venuto in contatto con lieviti o farine. È quindi fatto divieto di consumare pane o pasta nel periodo di produzione, per scongiurare la possibilità di intaccare la purezza del prodotto;
  • vino Yayin Mevushal. Un vino pastorizzato ad 89°C (ma subito riportato a 4°C per non perdere gli aromi), che può essere maneggiato anche da non credenti (chiamati gentili), ma non adatto ai rituali religiosi.

Perché la necessità di un vino così “puro”? Il vino è un elemento essenziale per la religione ebraica: non solo come simbolo, ma anche come vero e proprio rituale. Pensiamo ai pasti dello Shabbat o della Pasqua Ebraica: in queste celebrazioni il rituale del vino è sempre presente.

Come si produce? Ci sono delle indicazioni molto precise per produrre un vino che rispetti i parametri kosher, vediamoli insieme: 

  1. l’uva utilizzata per la produzione proviene esclusivamente da viti con almeno quattro anni di età. Infatti i grappoli prodotti negli anni precedenti vengono distrutti.
  2. L’appezzamento va lasciato a riposo un anno ogni 7 (il famoso anno sabbatico!)
  3. Non possono esser coltivate piante da frutto od ortaggi tra i filari: il vigneto deve esser puro, senza possibilità di compromissione con altre varietà. 
  4. Tutto il personale dedito alla vendemmia, vinificazione ed imbottigliamento del vino kosher deve esser ebreo praticante, nonché seguire tutti i dettami della legge. Per questo motivo, anche in cantina, tutte le operazioni devono esser svolte solamente dal personale ebreo. Questa ligia osservanza si esaurisce dopo l’imbottigliamento: da quel momento la bottiglia può esser maneggiata e spostata anche da non ebrei (ma non servita a tavola!)
  5. Tutti gli strumenti dediti alla produzione del vino kosher devono esser esclusivi per questa produzione e/o lavati accuratamente dopo ogni altro utilizzo. Tutte le componenti in gomma devono esser sostituite ogni volta.
  6. È permesso aggiungere lievito, mosto concentrato, anidride solforosa nel vino? Of course, ma solo se ingredienti kosher e quindi rispettanti tutti i parametri sopra descritti. 
  7. L’etichetta deve presentare il nome del rabbino responsabile dei controlli (che avvengono a sorpresa durante l’anno) indicante la certificazione e la corretta esecuzione di tutti i parametri del vino koesher
  8. Infine una parte del raccolto deve esser distrutta. O meglio, in coerenza con la tradizione ebraica dell’offerta al tempio di Gerusalemme, un massimo dell’1% del vino viene versato lontano dalla zona di produzione. 

Certamente l’aspetto più curioso di tutta la produzione è il momento della certificazione, che prende inizio già in cantina. Infatti ogni vasca viene sigillata e controfirmata dal cantiniere a garanzia della non alterazione del prodotto. Ci sono molti enti di certificazione del vino kosher nel mondo (più di 1000!), ma indiscutibilmente il più famoso ed apprezzato è la Ortodox Union, detta OU, ovvero l’Unione delle Congregazioni Ebraiche Ortodosse d’America. Questa certificazione è un lasciapassare internazionale per tutti i prodotti kosher: basti pensare che solo una manciata di rabbini al mondo possono rilasciarla. Questa attestazione, oltre all’etichettatura speciale, alla controfirma del rabbino, consiste in un particolare segno di riconoscimento sul tappo della bottiglia (registrato presso il Rabbinato Centrale d’Israele). Questo sigillo non ha scadenza illimitata e può esser revocato qualora si abbia modo di credere che non si sia agito in modo appropriato in una delle fasi della produzione.

Infine un’ultima domanda: dove si produce il vino kosher? In tutte le parti del mondo! Questo significa che anche in Italia la produzione del vino kosher è una realtà interessante. Barbera, croatina, nebbiolo, sangiovese, pinot nero… tutte uve che si possono agevolmente trovare in versione kosher! Nondimeno anche nella zona d’origine di questa tecnica, ovvero le aree del Golan, della Galilea e della Samaria, questa pratica è assai diffusa. È però molto raro trovare vitigni autoctoni utilizzati per questa produzione, poiché molti sono stati distrutti dalle numerose guerre e/o da periodi di dominazione che mal tolleravano la presenza delle viti. 

Infine diamo un’occhiata a 5 curiosità nel mondo dei vini kosher: 

  • Di kosher non c’è solo il vino, ma anche la grappa, il brandy, l’aceto…insomma: la famiglia delle bevande kosher è assai ampia!
  • Di solito la vendemmia avviene in coppia. Perché? Uno controlla l’altro, ma insieme tutti e due controllano il vino. Infatti non deve mai contaminarsi nel processo produttivo. 
  • Anche l’etichetta deve esser “pura” ed idonea. Ad esempio non è possibile fare esplicito riferimento ad un’altra religione. Quante bottiglie o cantine conoscete che iniziano con l’appellativo San o Santa? Bene. Non sul vino kosher perché è vietato. Per gli ebrei non esistono Santi nel modo in cui noi li intendiamo.  
  • È una produzione molto costosa: sia per l’impiego di manodopera esclusivamente ebraica (non di facile reperimento), sia per la necessaria kasherizzazione di tutti gli strumenti utilizzati. 
  • L’amaro Ramazzotti è kosher al 100%, lo sapevate? Non solo, anche una intera linea di Prosecco della cantina Val d’Oca. 

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