
I vini da meditazione: esistono veramente?
Molto spesso si sente parlare di vini da meditazione: ma che cosa sono? Quali sono? Già queste prime domande non sono di facile risposta poiché non c’è una concordanza univoca.
Possiamo dire che si tratta di vini che non hanno un abbinamento vero e proprio con un alimento. Vini che non necessitano del cibo per esser apprezzati al meglio, ma che richiedono tempo e calma per esser stimati. Alcuni sono ancora più radicali nella definizione: non solo i vini da meditazione possono esser compresi anche senza un piatto, bensì devono esser gustati da soli, senza alterare la loro essenza in alcun modo. Non si tratta più di una possibilità, ma di un dovere, una necessità di purezza al fine di non intaccare le infinite sfumature di questi vini.
Alcuni esempi? Sicuramente alcuni grandi rossi, dai profumi e dalla struttura imponente. Allo stesso modo diversi vini passiti che con il loro aroma tipico sanno regalare emozioni dal Nord al Sud Italia. Non possiamo dimenticare i distillati, come la Grappa, o i vini liquorosi come Sherry e Marsala: da apprezzare una volta terminato il pasto. Tendenzialmente quindi si parla di grandi vini, morbidi ma corposi, dalla struttura importante.

Ora che abbiamo fatto ordine all’interno del campo vinicolo, è lecita la domanda: possiamo veramente parlare di vini da meditazione? La risposta è NO, per tre motivi. Lungi da noi metterci contro il grande Luigi Veronelli che magistralmente ha coniato questa espressione: il suo contributo è stato fondamentale soprattutto per quanto riguarda i passiti, troppo spesso mal considerati, che dopo il suo grande lavoro di divulgazione furono rivisti e apprezzati in chiave differente. Tuttavia mi pare che su tre punti dobbiamo porre attenzione:
- Da sempre la storia del cibo e la storia del vino sono unite. Un matrimonio antico quanto il mondo che ha visto sostenere e implementare le più grandi innovazioni nel campo eno-gastronomico. È davvero possibile separare questi due aspetti? Indubbiamente qualche grande “vino da meditazione” può comportare difficoltà nell’abbinamento al cibo, ma questo non è proprio la chiave per scoprire pietanze, sapori e mondi nuovi?
- Dire che alcuni vini sono da meditazione significa logicamente ammettere che altri non lo siano. Parrebbe così che “gli altri vini” non ci facciano riflettere, che siano lì sulla tavola per compiere un abbinamento tecnico e rigoroso, senza potersi abbandonare al piacere dell’emozione. Solo i “vini da meditazione” richiedono tempo e cuore? Solo ai “vini da pasto” viene lasciato il compito di accompagnare i piatti?
- Ogni vino deve esser capito e collocato, compresi i vini da meditazione. Il vino è un alimento come altri, una bevanda che si esalta quando è posta nelle condizioni migliori. Non è forse meglio una grande sinfonia di note e strumenti, rispetto ad un solista che ci intrattiene con la medesima musica meditante per alcune ore? Certamente la pratica richiede maggiore esperienza e capacità (altrimenti rischia di uscirne un baccano infernale!), ma perché rinunciare al gusto della musicalità?
Per questo non credo nell’esistenza dei vini da meditazione, ma sono certo dell’essenza dei vini da condivisione, o ancora meglio, vini da conversazione. In ogni caso, ottimi vini.
Siete d’accordo?

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