DOC e DOCG: Sinonimo di qualità? – Decantico

DOC e DOCG: Sinonimo di qualità?

Da sempre l’appassionato di vino ha un solo obiettivo: bere bene. C’è poi chi vuole bere bene “spendendo poco”, chi si affida ai grandi classici, chi si concentra in un solo territorio e così via. Oggi vogliamo chiederci qualche cosa di diverso eppure così scontato: può l’indicazione DOC e DOCG esser d’aiuto nella scelta del wine lover? Ovvero: la fascetta, il Contrassegno di Stato, può esser garante della qualità del vino su cui è apposta? 

Muoversi all’interno della classificazione dei vini, della legislazione italiana o ancora peggio della normativa comunitaria in materia vinicola è un qualche cosa di estremamente noioso. Per questo motivo ci limiteremo a ribadire solo qualche concetto.

Il mondo “delle bottiglie” si divide in due grandi categorie: vini con una denominazione di origine (DOP e IGP) e vini senza una denominazione. In quest’ultima categoria troviamo i cosiddetti, con una terminologia oramai archiviata, vini da tavola, generici o varietali. Nella prima macrocategoria, invece, partecipano i vini che vantano uno specifico legame con il territorio geografico: parliamo dei vini IGT, DOC e DOCG. Fine del riepilogo. 

L’esser umano è di natura curioso, ma allo stesso tempo si affida a piccoli appigli, comode sicurezze, anche nella scelta dell’acquisto di un vino. Il fatto di scorgere la fascetta di Stato, sembra in qualche modo tranquillizzare l’animo dell’appassionato: “non mi posso sbagliare” sembra mormorare nella Sua testa.

Eppure, non è proprio così…

  • Primo punto: non tutti i vini DOC esibiscono il contrassegno. Il marchio DOC, identificabile in etichetta, serve ad accertare un vino con qualità e caratteristiche ben precise: prodotto in una determinata zona, seguendo un disciplinare approvato dal Ministero etc. Tuttavia, non vi è l’obbligo in senso stretto di apporre la cosiddetta “fascetta”. Molte DOC si sono attivate in questo senso, ma molte son ancora le produzioni prive di questo marchio sul collo della bottiglia. È invece sempre obbligatoria la presenza del contrassegno nelle oltre 70 DOCG italiche. Basare quindi la propria scelta sulla “vista” potrebbe non esser una scelta saggia.
  • Secondo punto: proprio per i motivi di cui abbiamo accennato, possiamo dire che DOC e DOCG non sono indicatori di “qualità” in senso stretto, ma sono garanti della denominazione che tutelano. Attenzione: certamente indicano dei prodotti che hanno superato esami e verifiche, ma possono esser meglio interpretati come “standard” da rispettare per potersi “fregiare” della denominazione. Ad esempio, nei vini DOP è obbligatoria l’aggiunta d’informazioni in etichetta, più stringenti rispetto a quella dei vini da tavola. La denominazione vuole garantire determinate e precise caratteristiche di provenienza e di origine, individuabili nei territori e nelle zone incluse nel disciplinare. Ci siano permesse due banalità per allargare il concetto: la fascetta non è preveggente. Ovvero: il contrassegno garantisce una serie di caratteristiche e proprietà all’imbottigliamento. Chiediamoci sempre come sono state conservate e trasportate, oltre che, gli eventuali difetti post-imbottigliamento. Altra ovvietà: la fascetta non è personalizzata sul nostro gusto. Per questo è importante la nostra conoscenza del settore o l’aiuto di un esperto nella scelta di un vino. 
  • Terzo punto: il celebre Sassicaia era un vino da tavola. Vedasi anche Il Vin Santo “Occhio di pernice” di Avignonesi. Non è infatti automatica l’associazione: vino non DOP = vino scadente. Le denominazioni, come abbiamo detto, sono create per “difendere” una geografia precisa e stabilire dei criteri di produzione e qualità. Tuttavia, un’azienda può tranquillamente decidere di non aderire o non rientrare in questi parametri…

Ma perché dovrebbe o potrebbe farlo? Tre rapide motivazioni… 

  1. La mancanza di una DOC o DOCG nel proprio territorio. Se nell’area di produzione non si ha una denominazione superiore, poco si può fare: dovrò produrre vino da tavola. La denominazione è infatti concessa ad un territorio specifico, al di fuori di questo, cade la DOP.
  2. Il voler produrre un vino più economico, dovuto ai minori costi di adeguamento al disciplinare. Il disciplinare infatti impone determinate forme di allevamento o affinamenti prolungati, che potrebbero incidere sul costo finale.
  3. Differenziarsi. Ovvero produrre un vino “diverso”: decidendo liberamente gli assemblamenti migliori in conseguenza alle condizioni ambientali, optando per differenti forme e modalità di produzione, conformazione delle bottiglie, grado alcolemico… insomma: per ovviare a qualsivoglia norma prevista nel disciplinare.
La piramide delle denominazioni

Abbiamo quindi sfatato un mito: DOP non vuol dire qualità e “da tavola” non significa scadente. Ogni giudizio è come sempre rimandato al gusto e alle nostre valutazioni… noi, amanti del buon vino. 

Alla salute!

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