Vino e Divino: salvezza o perdizione? – Decantico

Vino e Divino: salvezza o perdizione?

Un viaggio alla scoperta della simbologia enologica nelle religioni del mondo

È proprio il caso di dirlo: Il vino esiste perché esistono gli uomini. Una frase banale, ma è giusto ricordarlo. La vite per i suoi bisogni biologici e di sopravvivenza non avrebbe mai prodotto vino. Dunque possiamo affermare che il vino è un prodotto che non ha utilità alcuna ai fini della Natura e dei suoi obiettivi. 

Per l’uomo non è così (altrimenti quale sarebbe il nostro scopo su questo blog?), da millenni questa bevanda viene prodotta sia per il proprio personale piacere quanto per affermare abilità commerciali (e con queste la possibilità di trarre un profitto economico). 

Questa bevanda – trasformata da un bagaglio tecnico-culturale mutevole nel corso degli anni – assume significati diversi e anche in alcuni casi diametralmente opposti. Simbolo di sacralità, ma anche di passioni terrene, il vino è legato fin dall’antichità alla civiltà e alle varie esperienze artistiche e culturali dell’uomo. 

Circa il valore del vino rimane aperto un interrogativo, ancora oggi attuale: si tratta di un simbolo di salvezza o di perdizione?

L’Antica Grecia

Per rispondere a questa domanda facciamo un salto indietro nel tempo, fino al periodo dell’antica Grecia.

Il vino, come già ben sapevano gli antichi, presenta una natura realmente ambivalente: la gradevolezza di un particolare sorso e lo stato di benessere a cui esso può portare, possono condurre (solamente per qualche bicchiere in più!) ad uno stato di perdizione e irragionevolezza. Questa duplice natura del vino era ben nota ai Greci al punto da identificare come Dio dell’ebrezza – e dunque anche di questo straordinario prodotto – il celebre Dioniso

Secondo la tradizione fu proprio lui a far conoscere il vino agli uomini: è considerato il Dio da cui nacque la civiltà. All’interno delle cerimonie a lui dedicate il Dio spinge le menadi – donne sue seguaci – ad abbandonarsi all’ebrezza di riti mistici e orge. Il nettare degli dei è quindi connesso alla liberazione di un furore esaltante, di una potenza vitalistica. Ma c’è di più: l’estasi alla quale trascinano questi riti non è indirizzata al bruto soddisfacimento personale. L’eccitazione viene trattenuta dal Dio e diventa il mezzo per una vera e propria liberazione conoscitiva. In questo è visibile il concetto di ambiguità (e di ambivalenza) di cui il vino è piena metafora: la pienezza vitale dell’esaltazione dionisiaca si risolve in un radicale distacco dalla materialità dell’esistenza

Si trattava infatti di una trasfigurazione che aveva il potere di sospendere le regole della vita comune per ritrovarsi in un ritorno all’unità-animale. Rimanendo all’interno della filosofia (ma qualche anno più avanti) questo rapporto affascinò Nietzsche che riconobbe in Dioniso un mondo primordiale e sacro. Da questo nascerà la sua intuizione della necessità per la società umana di due forze contrapposte in dialettico equilibrio: l’apollineo, ovvero la capacità di dare forma ed ordine ad una materia caotica, e il dionisiaco, cioè il lasciare gli istinti liberi di fluire. 

L’istinto irrazionale della volontà viene dunque espresso all’interno di un canone di regole che permettono di dare equilibrio e forma al caos. Da ciò si evince ancora una volta la natura duplice del vino: controllato dalla ragione e dalla forma diviene ardore e slancio che permette la conoscenza più profonda della realtà…come già era stato intuito ai tempi di Dioniso!

Il Mondo Romano: Ebrei e Cristiani

Per quanto riguarda l’altra parte del monto antico, come disse il grande Edward G. Gibbon “nella religione (a Roma) non si trovava né il fervore né il mistero degli antichi greci, era semplicemente l’oppio dei popoli”. I romani leggendo il resoconto di Livio sull’abolizione dei baccanali erano venuti a conoscenza del culto di Dioniso, ma non avevano abbastanza elementi per poterlo distinguere dal culto dei primi cristiani. Infatti di elementi in comune ce n’erano abbastanza da giustificare la confusione. I riti dei cristiani sembravano molto simili ai baccanali: apparivano entrambi celebrati in segreto (o in privato) e consistevano nel mangiare la carne e bere il sangue del Dio celebrato.

Oggi se vogliamo capire i riti cristiani dobbiamo risalire all’educazione ebraica di Gesù. In Israele il vino era importante tanto quanto in Grecia ma il suo significato non aveva nulla in comune con ciò che rappresentava per i seguaci di Dioniso. In Israele l’idea di libagione dei culti greci era sacrilega: per quest’ultimi il vino era liberatore, portatore di estasi. Quindi l’ebrezza poteva essere sacra. Per gli ebrei era un piacere pieno di pericoli e quindi doveva essere rigorosamente controllato dal rabbino. In Israele il vino è visto come un potenziale pericolo: la sua assunzione è normalizzata all’interno della Legge ebraica (per approfondire: https://www.decantico.com/vino-kosher/).

Eppure i giudei introdussero in ogni atto di culto la “gioia” del vino: non a caso il primo miracolo di Gesù fu quello delle Nozze di Cana dove l’acqua venne trasformata in vino per celebrare uno dei momenti più significativi dell’esistenza. Il vino viene però sempre vissuto con regolatezza: per gli ebrei “aiuta ad aprire il cuore alla ragione”. La meta ultima è dunque la ragione non l’ispirazione che caratterizza la nozione di vino dionisiaca.

Su questa scia possiamo dire che l’evolversi dell’eucarestia cristiana è stato un percorso graduale, composto da elementi diversi. Inizialmente era semplicemente un pasto in comune secondo una tradizione ebraica (ma anche romana). Solamente nella prima epistola di San Paolo ai Corinzi troviamo per la prima volta la testimonianza della pratica dei cristiani di ricordare l’ultima cena come una cerimonia. Non è semplice capire il simbolismo della religione cristiana. Esso infatti si è sviluppato secondo un filone greco e non ebraico. Basti considerare che il Nuovo Testamento fu scritto in greco, per l’appunto.

La parola greca eucharistia veniva utilizzata per definire delle cerimonie, celebrate come atti formali di ringraziamento, durante le quali si beveva sangue misto a vino oppure vino come simbolo del sangue del Dio celebrato. Così la parola eucarestia – utilizzata dai cristiani per definire il loro atto di culto – aveva un collegamento diretto con i sacrifici pagani. Appena l’insegnamento di Cristo venne a contatto con il pensiero greco, assunse un significato che gli ebrei non potevano accettare: il sacrificio di Cristo, nel simbolismo che la Chiesa gli attribuiva, era troppo vicino ai riti pagani in particolare a quelli orfici. Dioniso era un Dio che salvava lo spirito e poteva donargli vita eterna, proprio come Gesù.

Nel cristianesimo si possono dunque vedere condensate sia la posizione del culto ebraica che quella del culto dionisiaco per quanto riguarda la concezione di-vino: proprio come per gli ebrei è legato agli atti di culto ed è vissuto con estrema regolatezza (manca dunque la componente dell’ebrezza propria dei riti dionisiaci), eppure il vino si carica di un significato trascendente e per suo tramite si può andare oltre alla materia per una vera comunione con Dio (proprio come già si faceva nei riti orfici). 

Il Mondo Islamico

L’Islam a differenza dell’ebraismo respinge in maniera netta tutto quello che danneggia la ragione e la naturale attività di questo dono considerato divino. L’alcol è una sostanza che influenza direttamente la ragione e che ha effetti nefasti sulla società, a livello morale e psicologico. Niente è più disastroso per l’uomo del fatto che la sua ragione e la sua capacità di comprensione siano annichilite dall’alcol. Perciò è altamente condannato e proibito nei versetti del Corano. Prima dell’Islam l’abitudine al bere era molto diffusa fra gli Arabi ma la venuta del profeta Maometto – che condannò come peccaminoso il consumo di qualsiasi sostanza alcolica – ebbe una tale influenza sui mussulmani al punto tale che il suo utilizzo cessò non solo tra di essi ma anche nei territori conquistati da questi ultimi.

Ma al giorno d’oggi – quindi – il vino è simbolo di salvezza o perdizione?

Se si guarda strettamente al vino come simbolo, è difficile identificarlo nella categoria netta della salvezza o perdizione. Questo perché con il termine “simbolo” s’intende un elemento che suscita nella mente un’idea diversa rispetto a quella offerta dalla percezione sensibile. Questa idea è legata, nel caso del vino, ad un culto e ad un Dio che con i suoi comandamenti ne determina il valore. Nella società contemporanea si assiste a una progressiva secolarizzazione, ovvero a un graduale allontanamento dalle religioni tradizionali (e quindi anche dai simboli!), ma anche ad una maggiore apertura alle culture più diverse dalle quali ormai è pervasa la nostra quotidianità. Quindi, oltre che una società contemporanea, potremmo aggiungere gli aggettivi di secolarizzata, pluralista e multietnica in cui il vino sta lentamente perdendo la sua caratteristica di-vina.

Identificare oggi il vino come simbolo il cui valore risulti definito e chiaro per ogni orientamento culturale è cosa difficile, tuttavia permane comunque una sorta di influenza del passato. Dal momento che ognuno è suggestionato, anche involontariamente, dalla propria tradizione, la simbologia del vino risulterà dipendente dalle radici culturali e dalla forma-mentis propria di ogni individuo. La certezza è che esso rimarrà sempre fonte di contrapposizioni e di vedute differenti, particolarità che hanno reso questa bevanda così unica e così discussa.

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