Moda o innovazione? I vini in anfora – Decantico

Moda o innovazione? I vini in anfora

Un viaggio alla scoperta di una filosofia… particolare!

L’anfora è un oggetto dalla grande storia, un passato di gloria e fama, che però solo da pochi anni ha ritrovato la sua vera essenza. Un recipiente tanto antico (antichissimo, se pensiamo che alcuni esemplari son datati 6000 A.C) quanto moderno: riscoperto, tranne rare eccezioni, solo dagli anni 2000…e non stiamo certo parlando dell’Avanti Cristo. 

Nell’antichità era usato per contenere tutto: olio, cereali, vino etc. In queste giare di terracotta si è fatta la storia della nostra cultura, della nostra enogastronomia.

Un “contenitore” che crea diffidenza in ambito enologico: ma perché? Attorno all’anfora si aggira la stessa nube di timore che circonda il cemento, la vetroresina, molte volte persino l’acciaio. Quella leggera smorfia di presunzione come a dire: “ricordati che solo il legno è un degno recipiente”. Forse perché abbiamo lentamente perso l’arte di padroneggiare questo materiale.

La terracotta è infatti un materiale difficile da gestire: tanto delicato quanto eterno, poroso ma allo stesso tempo ermetico ed isolante, complicato nell’igienizzazione quanto sicuro nella neutralità. Alcune anfore hanno i manici per facilitarne il trasporto, altre no. Alcune sono interrate per mantenere costante la temperatura. Altre ancora sono molto grandi (4000 litri), altre molto piccole (100 litri). 

L’anfora è un contenitore ossimorico: per questo ci spiazza. È un grande mix di stili, dai risultati sorprendenti, a patto di conoscerne segreti e debolezze.

Inutile dirlo: la patria di questa tecnica di vinificazione è la Georgia. I Qvevri (o Kwevri; in georgiano: ქვევრი) sono Patrimonio Unesco da quasi 10 anni. Qui l’anfora assume un’importanza culturale fondamentale, la vita è impostata proprio su questi contenitori che sono parte del patrimonio nazionale. Il vino tradizionale, fermentato e affinato in Qvevri fa parte della memoria, inseparabile dall’identità nazionale. Qui troviamo un’argilla eccezionale, purissima, che garantisce una materia prima ideale per questo contenitore, che altrimenti potrebbe rilasciare alcuni minerali, impattanti sulla qualità organolettica del vino. 

Panorama vitivinicolo della Georgia

Un’influenza importante di questa tradizione la troviamo anche in Slovenia, così come in Spagna (soprattutto in Andalusia e nella comunità di Castilla-La Mancha), ma anche in Italia. Nel nostro “Bel Paese” pensi ad anfora e ti viene in mente Joško Gravner, che all’utilizzo di questi recipienti ha abbinato lunghe macerazioni e un preciso metodo di vinificazione. Proprio lui, da circa 20 anni, utilizza gli stessi Qvevri georgiani, interrati per mantenerne la temperatura. Tuttavia, anche nel sud Italia ci sono ottimi risultati: pensiamo alla Puglia, che si sta pian piano distinguendo in questa filosofia. Non solo utilizzatori, ma anche produttori: a Impruneta (FI), la celebre Artenova, cosi come la trentina azienda Tava, hanno saputo rilanciare e innovare questi prodotti. 

L’anfora è un contenitore minimal: non cede aromi, ma richiede tantissime attenzioni. Insomma: non si può improvvisare. Proprio come ogni contenitore, anche queste giare, necessitano di un contenuto ben specifico. Il vitigno, (e il suo mosto) è il vero protagonista: il tannino non viene smussato dal contatto con il legno, le durezze non vengono ammorbidite da barrique tostate. Freschezza, profumi, intensità rimangono inalterati dalla rusticità della composizione dell’anfora, nel pieno rispetto del terroir e dell’essenza più profonda.

Il prezzo? In media dai 500 ai 3000 euro, in base alle dimensioni e provenienza. 

L’anfora ci permette di fare un salto nella storia, unendo naturalità e tradizione, veridicità e tipicità, oggi quanto mai ricercate. Tornando al titolo, quindi, questa non è né una moda, né una innovazione.

È una tecnica, che sta riacquisendo il meritato successo. A noi il compito di padroneggiarla e conoscerla al meglio.

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