Merano Wine Festival: non chiamatela fiera, bitte!
Lunga e fitta è la lista degli eventi enoici che si susseguono durante l’anno: fiere con un’estensione espositiva pari a dieci campo da calcio regolamentari, leggendarie masterclass con prezzi che fanno sembrare economica la rata del mutuo della casa, imperdibili presentazioni di collezioni rimaste inaccessibili per decenni in cantina (e che tali rimarranno per i comuni mortali), veraci riunioni di garagisti che propongono vini in accompagnamento a panini con porchetta e soppressata. Per tutti i gusti e per tutti i budget.
E poi… e poi c’è il Merano Wine Festival.
Quando ho scoperto che Babbo Natale non avrebbe mai lasciato sotto il mio albero una verticale di Kreutzweg o di Fiorduva, ho cambiato il mio biglietto per Rovaniemi con uno per la kermesse di Merano.
Il ticket di ingresso, non proprio economico a dire la verità, vi consentirà l’accesso al Paradiso perduto del povero sommelier. Farete anche qui la fila per entrare, ma calpestando un red carpet, preludio del piacere enologico che vi attende di lì a pochi metri. All’interno non girerete tra gli asettici padiglioni degli stand fieristici con l’appeal di uno studio dentistico, qui si degustano vini leggendari nelle sale in stile liberty del Kurhaus.
Sento già i commenti sarcastici di qualche compagno di degustazioni, che etichetterà queste righe come propaganda fieristica, di interesse simile ad un comunicato stampa o peggio ad uno spot pubblicitario. Ma chi nasconde un sorriso sarcastico sotto la barba da neo hippie, che beve solo vini AAA approved di piccoli produttori di Lambrusco o di Pallagrello, in passato non ha sicuramente disdegnato di avvinare il suo palato alternativo con quei classici enologici che ora snobba con sdegno biodinamico.
Esiste un nutrito ed assetato popolo di appassionati che sogna di assaggiare quei vini a metà tra storia e mito, ma che non dispone di una carta senza plafond. E in quale altro posto, se non a Merano, potete permettervi di passare da un calice di Barolo di Domenico Clerico, a quello di un
Brunello de Il Marroneto, da un Redigaffi di Tua Rita ad un Bolgheri dell’Ornellaia, senza dover ipotecare la casa comprensiva di coniuge e figli?
Il Merano Wine Festival offre la possibilità di accedere per un giorno al gotha enologico italiano. Qui vengono appagate le molteplici anime del popolo etilico: dal più classicista sommelier inappuntabile in giacca blu e capello brizzolato, all’alternativo appassionato in panciotto di velluto verde e occhiali rossi. I novizi rimangono frastornati dalla proposta enologica e in questo walk around tasting si aggirano storditi, simili a diciottenni che per la prima volta entrano in un night; i veterani invece si dirigono con passo sicuro verso i loro assaggi, il loro è un bere responsabilmente, cioè assaggiano solo le #superetichetteestremamentecostose, annotate in wishlist da mille e una notte.
Se l’autocelebrante popolo maschile insiste nel dire che al mondo esistono sette donne per ogni uomo, al MWF ci sono ben più di sette etichette per ogni visitatore, il che lascia ad ognuno l’opportunità di imbattersi nel suo colpo di fulmine… anzi il rischio è quello di un innamoramento seriale con conseguente ebbrezza sentimentale! Io quest’anno sono stata la vittima (con spirito kamikaze) del fascino del Syrah di Sui Sassi dell’azienda Due Mani e del suo enologo His Majesty Luca D’Attoma.
(segue un minuto di reverenziale silenzio)
Ma l’aspetto più divertente nel frequentare questi eventi rimane per me quello sociologico: esplorare le trame del tessuto di intrecci umani, di racconti, incontri e confronti.
Irrinunciabili le chiacchiere con i produttori sorridenti. Sono cantastorie appassionati, che non si stancano di emozionarsi mentre mostrano in loop la foto della vigna dove il papà ha chiesto alla loro mamma di sposarlo, o quella in cui, più vichinghi che vignaioli, a mani nude estirpano rovi e cavano pietre dalla sterpaglia che hanno reimpiantato.
E poi, quando miracolosamente accade che la ressa si distrae e concede una pausa al banchetto, ecco che i produttori, grati degli apprezzamenti espressi, con un sorriso estraggono dal magico cilindro posto sotto la tovaglia bianca piccoli tesori del secolo scorso: un Pinot Nero del 1989 o una Vernaccia di Oristano del 1997. In quei momenti sentirete il coro degli angeli che vi addita come il prescelto.
La giornata prosegue veloce tra i molteplici assaggi, interrotti solo da periodiche incursioni alla Gourmet Arena, tra salmoni e panettoni. I calici nel pomeriggio si macchiano di un rosso intenso, come le gote di alcuni visitatori che gettano lo sguardo indignato contro lo spreco nelle sputacchiere.
Alle 18.00, con precisione teutonica, tutti fuori dal Kurhaus. Tutti i meranisti hanno appagato la loro curiosità enologica e tutti – i curiosi e i fedelissimi, i naturalisti e classicisti, i bordolesi-lover e i biodinamici – si ritrovano aldilà del red carpet, per riconciliarsi con la razza umana. Si balla e riempiono i calici intorno ai caminetti. Per me è una sosta imperdibile: è il Wunderbar!
Roberto, il proprietario, vi accoglie impeccabilmente con le sue giacche glamour e con una interminabile carta di bollicine e – per i viziosi irriducibili – con un plateau di ostriche!
Ora comincia il Fuori Salone, ma questa è un’altra storia.
Ein prosit… Auf Wiedersehen bis 2024!
Risposte