L’altra Champagne
Fino a qualche tempo fa organic wine e Champagne erano un po’ come Darth Vader e Obi-Wan Kenobi: antagonisti.
Da qualche anno a questa parte, però, c’è stato un cambio di direzione, reso probabilmente ancora più evidente dalla presa di posizione di alcune grandi Maison; Jean-Baptiste Lécaillon, per esempio, leggendario Chef de Cave di Louis Roederer ha recentemente dichiarato: “Il futuro dello Champagne è nell’agricoltura biologica e nella biodinamica.”
Sebbene, infatti, nella Champagne agroindustria e interventismo, sia in vigna che in cantina, guidino ancora la maggior parte della produzione, un lungo percorso di riflessione, avviatosi già prima del 2000, sta avvicinando alcuni produttori ad una viticoltura più consapevole, che guarda con maggior rispetto al territorio e che mira a preservarne la salubrità.
Se fino a una ventina di anni fa soltanto l’uno percento degli ettari vitati erano condotti in biologico, oggi si è arrivati, tra biologico e biodinamico, al 2,5%; si tratta di circa mille ettari e di poco più di 200 viticoltori, ma è comunque un inizio.
Inutile negarlo: biologico e biodinamica richiedono tempistiche diverse. Tutto è, ovviamente, dilatato e nei primi tempi dopo la conversione i rendimenti riprendono a crescere, al netto di una perdita iniziale che può andare dal 20% al 30%, al quarto o quinto anno. A questo, ovviamente, si aggiunge la necessità di un lavoro costante, sia in vigna che in cantina, e a fronte di un approccio non interventista un rischio più alto di mettere a repentaglio l’intera produzione, soprattutto quando e se l’annata non è delle più favorevoli.
Stando alle testimonianze dei vignerons, per esempio, quella del 2021 è stata un’annata terribilmente difficile, che non solo ha rallentato la rivoluzione green ma ha anche costretto i produttori più piccoli, che già avevano avviato la conversione, a fare dietrofront. In soli quattro mesi, infatti, si è avuta la pioggia media di un anno, un terzo della quale concentrata a luglio e in soli quattro giorni.
Ostacoli, frenate e impedimenti sono, in qualsiasi fase di cambiamento, all’ordine del giorno; quando si parla di Champagne, però, alle variabili naturali vanno aggiunte anche quelle del mercato, così come una tradizione che, in alcuni casi, non eleva ma vincola, un radicato immobilismo e una confort zone che non è sicuramente facile da abbandonare.
Tra coloro che, nonostante tutto, non si sono ancora arresi, e che hanno raggiunto e stanno raggiungendo risultati eccellenti ci sono Chavost e Fabienne Bergeronneau.
Il Domaine Chavost, da circa un paio di anni, si è proposto al grande pubblico in una veste totalmente inedita; con alle spalle oltre 70 anni di storia, ha infatti ideato una gamma di prodotti senza solfiti aggiunti, che volgono lo sguardo al passato e alla consapevolezza degli Anciens, da cui tutto ha avuto inizio. Le nuove etichette nascono dai 5 ettari del Domaine converti al biologico e sono 5 Cuvée imperdibili.
Fabien Bergeronneau, invece, è un giovane vigneron della Marna che, dopo aver completato gli studi in viticoltura e aver lavorato in numerose aziende in giro per il mondo, ha deciso di impegnarsi in prima persona nella conduzione del Domaine di famiglia, il Bergeronneau-Marion. Fabien è uno di quelli che nella Champagne chiamano artisan vigneron; nelle sue vigne la chimica è bandita e in cantina sono ammessi, esclusivamente, i lieviti indigeni. I suoi Champagne sono riconoscibilissimi per consistenza, vigoria e, al contempo, ricercatezza. Rapiscono, fin da subito, l’avventore e lo invitano ad approfondire, a guardare oltre e a mettersi in gioco.
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