Il Lambrusco non esiste – Decantico

Il Lambrusco non esiste

Questo titolo, volutamente sensazionalistico, porta con se un innegabile fondo di verità, perché, se ci pensiamo bene, è vero: il Lambrusco non esiste.

Il Lambrusco e la molteplicità intrinseca

Come pochissime altre cose al mondo, il variegato e variopinto universo del Lambrusco esiste in virtù della propria molteplicità, ricalcando le caratteristiche chiave della stupenda terra da dove proviene: generosità e gentile esuberanza.

Se proprio dobbiamo, allora è meglio dire che esiste la famiglia dei lambruschi, di cui fanno parte: Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa, Lambrusco Salamino, Lambrusco Marani, Lambrusco Maestri, Lambrusco Barghi, Lambrusco Pellegrino, Lambrusco Benetti, Lambrusco Oliva, Lambrusco Montericco, Lambrusco Viadanese, Lambrusco a Foglia Frastagliata (con cui viene prodotto un vino non frizzante (!) in Trentino).

Ciascuna varietà presenta proprie e specifiche peculiarità organolettiche, come a voler rappresentare ciascuna una diversa sfaccettatura di Emilia Romagna.

Quindi parlare di Lambrusco, al singolare, di fatto vuol dire non parlare di niente: per questo il Lambrusco non esiste. Basta poco per rendersene conto.

Se tiriamo in ballo il Lambrusco di Sorbara ci troviamo nelle pianure della provincia di Modena, di fronte a un’uva che matura precocemente e tendenzialmente preferisce terreni sabbiosi. Si presta sia al Metodo Charmat, come all’Ancestrale e al Metodo Classico.

Se invece parliamo di Lambrusco Salamino allora siamo non solo a Modena ma anche nella provincia reggiana – specialmente a Santa Croce di Carpi, suo luogo di origine – e abbiamo un’uva che invece matura tardivamente, preferisce terreni più freschi e il cui grappolo ricorda vagamente la forma di un salame.

Spostandoci in collina, possiamo invece parlare del Lambrusco Grasparossa: uva dalla buccia spessa, che matura precocemente e ben si adatta a temperature più fredde e varie tipologie di suolo. Tipicamente viene prodotto con il Metodo Charmat.

Il Lambrusco Maestri – la cui coltivazione ha visto un deciso incremento negli ultimi dieci anni, a sfavore dello sfortunato Lambrusco Marani – rappresenta probabilmente il vigneto che meglio si adatta a differenti situazioni; storicamente usato per dare colore al Sorbara, o in blend con il Salamino, viene vinificato anche in purezza con esiti sorprendenti.

Champagne a chi?

La molteplicità del Lambrusco viene interpretata e dipinta da una sempre più folta schiera di ispirati vignaioli, che negli anni hanno decisamente contribuito a restituire un volto riconoscibile e dignità a una tipologia di vino che era stata letteralmente svenduta, appiattita, quasi mortificata, in nome del profitto.

Infatti, nei primi anni ‘60, la produzione di Lambrusco conobbe un incremento notevole, a discapito ovviamente della qualità: questi vini cominciarono ad essere esportati in tutto il mondo, specialmente negli Stati Uniti. Oltreoceano, tra gli anni ‘70 e ‘80, arrivarono a rappresentare circa il 50% dei vini italiani importati.

Ad oggi è sempre il vino frizzante italiano più esportato al mondo, anche se per l’appunto, nella stragrande maggioranza dei casi parliamo di vini IGT, non DOP: al netto di pochissime eccezioni, possiamo parlare quindi di vini qualitativamente inferiori.Nel 2020 sono state prodotte 160 milioni di bottiglie a marchio Lambrusco, tanto che più di vino possiamo parlare di un brand: questo numero ha dell’incredibile, se pensiamo al fazzoletto di terra – principalmente 3 province emiliane – entro cui è prodotto.

È inevitabile pensare che questa commercializzazione estrema abbia contribuito a un abbassamento notevole della qualità (percepita e non) con un conseguente e dilagante tipo di snobismo, che porta il consumatore medio a disdegnare una bottiglia di Lambrusco e a storcere il naso al suo cospetto, manco fosse un cartone di Sangria del più infimo discount.

I tentativi di nobilitare nuovamente la famiglia dei lambruschi non è passata solo attraverso una riscoperta qualitativa dal punto di vista produttivo, ma anche attraverso le parole di numerosi giornalisti e divulgatori: uno tra tutti, Francesco Falcone, che ha dedicato al mondo del Lambrusco un intero capitolo del proprio libro “Intorno al vino. Diario di un degustatore sentimentale” e che a più riprese parla di eccellenze produttive nella propria opera divulgativa quotidiana, portata avanti anche sui social.

Tanti di questi esperti conoscitori fanno leva sull’accostamento con lo Champagne: spesso e volentieri ho letto di “Champagne rosso” o addirittura, scomodando Mario Soldati, “Umile Champagne dell’Emilia Romagna”.

Sebbene riconosca l’intento nobile di questa pratica, non posso fare a meno di dissentire: a me non piace nobilitare per contrapposizione, preferisco tenere le cose distinte e tessere le lodi del molteplice Lambrusco per quello che è, non per quello che potrebbe ricordare, imitare, o quello che potrebbe giovargli in termini di immagine.

Parliamo mai di Barolo accostandolo al Brunello? Appunto.

Quindi cominciamo dalle basi, ovvero dallo stappare qualche bottiglia per saggiare questa meravigliosa molteplicità e capire che la nobiltà di questo vino va riscoperta attraverso i suoi attributi assoluti.

Lambrusco: batteria esuberante e multiforme

Lambrusco di Sorbara L’Eclisse di Paltrinieri

La prima cosa che colpisce di questo vino è il colore: un rosa brillante tendente al corallo.

Ha un’acidità vibrante, filamentosa, con una bollicina presente seppur evanescente; il bouquet di aromi è delicato, soffuso – di rose, frutti di bosco acerbi – e si contrappone al profilo gustativo netto, citrico, sapido che si declina sorso dopo sorso in bocca: il corpo è snello, dai lineamenti freschissimi, con un ritorno leggermente amaricante.

Così su due piedi lo vedrei benissimo con una frittura di verdure miste.

Lambrusco Grasparossa “Canova” di Fattoria Moretto

Il colore in questo caso è un rubino intenso, impenetrabile.

Al naso arrivano prima di tutto delle note vinose ben definite (ricorda un vino novello) seguite da aromi di fragola e mirtillo. Il sorso è brioso, goloso, pieno, appagante: il tannino risponde all’appello ed è ben presente, l’acidità invece è mediamente intensa. Le bollicine sono non troppo eleganti ma contribuiscono a una texture cremosa e invitante.

È sicuramente il Lambrusco che ricalca maggiormente l’immaginario diffuso che lo vuole rustico, esuberante, estremamente gastronomico. Mi fa venire voglia di una fetta spessa di erbazzone.

Lambrusco Salamino “Ferrando” di Quarticello

Ancora un’altra sfumatura: rosso vivo, intenso, color lampone luminosissimo.

Aroma e palato vanno a braccetto in questo caso: al naso si evidenziano note di frutti di bosco surmaturi ed essiccati; troviamo i medesimi sentori al palato, caratterizzato da un retrogusto decisamente fruttato, dolciastro. Il corpo è leggiadro, con un’acidità presente ma non intensa. La bollicina in questo caso è veramente impercettibile dopo qualche sorso.

È tra tutti il più spontaneo, semplice, non rustico come il Grasparossa ma nemmeno elegante come il Sorbara, quasi a voler rappresentare una sintesi tra i due. Il vino perfetto per accompagnare e impreziosire un aperitivo.

Lambrusco Maestri “Il mio Lambrusco” di Camillo Donati

Questa volta il colore è rubino, ma meno intenso e fitto, più opaco direi.

Il profilo aromatico è meno variopinto, con i tipici frutti di bosco e lievi sfumature di erbette officinali e terra bagnata.

Il più rustico dei vini provati, il meno educato o “tirato a lucido”, direi essenziale: brioso al palato, lo solletica e lo stuzzica con un retrogusto lievemente amaricante, pepato. Di medio corpo, con bella acidità e trama tannica, lo vedrei bene anche con un risotto ai funghi.

Mille motivi per bere un Lambrusco

Esistono, ma per esigenze di sintesi posso citarne solo quattro, ahimè.

  • C’è un Lambrusco per ogni ricetta

È sicuramente uno dei vini più versatili che possano trovare spazio in cucina: a parte l’ovvio ma assolutamente non banale accostamento alla buonissima, grassissima, levissima cucina emiliana, esiste un intero universo di possibilità, ampio tanto quanto potete spingervi con la vostra inventiva.

Crudité di pesce? Risponderei Lambrusco di Sorbara. Pizza? Allora direi Lambrusco Salamino. Tagliere di formaggi? Probabilmente Lambrusco Grasparossa. Piatto di pasta con sugo ricco, tipo il ragù? Dai con un bel Lambrusco Maestri. Frittino? Chiama acidità: Lambrusco di Sorbara. 

  • C’è un Lambrusco per ogni stagione

Mi piace pensare ai vari tipi di Lambrusco come vini trasversali: vanno al di là delle stagioni e hanno ragion d’essere (stappati) in ogni momento dell’anno. Però, con un piccolo sforzo, mi piace pensare che d’estate, con l’afa che attanaglia e l’umidità alle stelle, non ci sia miglior modo di rinfrescarsi che un calice di Lambrusco di Sorbara.

Giungendo all’autunno, mi immagino un calice di brioso Lambrusco Grasparossa con delle deliziose caldarroste fatte sul momento, magari avvolte da un cartoccio, da condividere, sbucciare e assaporare con la dovuta calma.

Nelle fredde serate d’inverno, esiste forse qualcosa di meglio dei tortellini in brodo? Se hai risposto di sì non possiamo essere amici. Comunque, cosa abbinare a un fumante piatto di squisiti tortellini, se non un calice di Lambrusco, possibilmente Maestri?

Con l’arrivo della primavera, torna la voglia di aperitivi in giardino, in terrazza, o comunque all’aperto: mi immagino una selezione di antipasti dalle componenti più disparate: cremosi hummus, varie crudité, formaggi, crostini e sfiziosi prodotti da forno, il tutto innaffiato da un’ottima bottiglia di Lambrusco Salamino.

  • C’è un Lambrusco per ogni portafoglio

Non esiste nel panorama vinicolo italiano una tipologia di vino che abbia un rapporto qualità / prezzo migliore della famiglia di lambruschi. 

È imbattibile, perché qualitativamente migliore del 90% dei vini presenti al supermercato, ed economicamente più vantaggioso del 90% dei vini che possiate trovare in enoteca.

Se prendiamo l’esempio di Callmewine, vediamo che il Lambrusco più costoso in carta è una magnum di Sorbara di Paltrinieri a € 37,60, mentre il più conveniente è il Lambrusco ‘Meares’ IGT Albinea Canali, a soli € 6,20.

  • Al di là di una certa idea di vino c’è un campo…

Chiudiamo dicendo che, sia esso Salamino, o Sorbara, insomma, a prescindere dalla tipologia, la famiglia del Lambrusco per me essenzialmente impersonifica al meglio quell’idea di convivialità – che porta così tante persone ad appassionarsi – di condivisione, di accostamento e altre fantasie con il cibo, quella trama esperienziale che è il nocciolo stesso dell’intera questione “vino”.

Al di là dell’idea semplicistica di vino buono o cattivo c’è un campo: io vi aspetto là, con una bottiglia di Lambrusco (a sorpresa) tra le mani.

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