
Gli Orange Wine. Si dice Orange ma si legge Macerati
Si dice che fu David A. Harvey, un importatore inglese che per inserire nel suo catalogo particolari vini con colori che variavano dall’ambrato al ruggine intenso, gli ha riuniti sotto un’unica categoria dando vita al neologismo ‘orange’ (arancione).
In realtà, il termine Orange Wine lo si trova anche altrove e precisamente in Australia, ovvero il nome di una zona vitivinicola, attualmente la culla dei vini di gran pregio della Nazione.
Per svelarvi il grande mistero di questi vini, dovrò partire da un concetto che forse molti di voi già conoscono, il processo di vinificazione.
Se dovessimo descrivere questo processo lo potremmo, in grandi linee, rappresentare in sette passaggi: raccolta, diraspatura, pigiatura, fermentazione, filtrazione, maturazione e imbottigliamento.
Quindi, una volta raccolto il grappolo, diraspato e pigiato si arriva al processo clou, ovvero la fermentazione, considerato il processo fondamentale che distingue la vinificazione dei vini rossi dai vini bianchi classici.
Nella vinificazione in rosso, la fermentazione (processo per la formazione dell’alcol), è caratterizzata da un lungo periodo di conservazione dove mosto e acini pressati (vinaccioli e bucce) vivono in simbiosi. Questo periodo che varia da 5 a 20 giorni (fino ad arrivare anche a 40), è detto macerazione.
Infatti, il lungo contatto tra mosto e acini, fa sì che i vinaccioli e le bucce cedano al mosto stesso sostanze chimiche (antociani, fenoli, polifenoli e acidi) che andranno ad arricchire il vino con colori profondi, varietà di profumi e gusto inteso.
Questo processo è effettuato, solitamente, per i vini rossi poiché per la produzione dei vini bianchi classici il periodo di macerazione è molto breve (ci si riferisce a ore) se non addirittura eliminato, per dar vita ad un vino più delicato e meno dirompente come potrebbe essere un grande rosso.
Prima dell’avvento dei macchinari e tecniche moderne, il processo di vinificazione non variava per la bacca rossa e quella bianca, fino a prima degli anni Ottanta quando il mercato del vino dettava la moda del vino bianco carta, e pigia-diraspatrici a freddo, autoclavi a temperatura controllata e correzioni presero il posto alla vecchia tradizione, quando il processo di macerazione era previsto anche per i vini bianchi.
In realtà, più che vecchia, è millenaria (per intenderci, la Regina Elisabetta doveva ancora nascere).
Parliamo di circa 5000 mila anni fa, e ci troviamo in Georgia, probabilmente il primo luogo al mondo dove la vite è stata addomesticata ed è stato possibile produrre il vino.
La tradizionale arte della vinificazione, prevede che dopo la pigiatura, il mosto veniva messo nei qvevri, dove aveva inizio la fase fermentativa attivata da lieviti indigeni che durava per circa dieci giorni. A fermentazione conclusa i qvevri venivano chiusi con un semplice coperchio e sigillati con argilla o cera e ricoperti con uno strato di sabbia. L’interramento dei qvevri permetteva di mantenere la temperatura stabile.
Questa procedura veniva utilizzata sia per produrre vini rossi che per produrre vini bianchi.
Con gli Orange Wine, in realtà, non si è inventato nulla, ma si è ripresa questa antica tradizione.
In realtà è bene fare una precisazione importante che non tutti i vini bianchi macerati sono Orange.
Quello che gli identifica in quanto tali è il periodo di macerazione.
I vini bianchi macerati hanno un periodo di macerazione che va da qualche ora ad un massimo di 5-6 giorni circa, oltre il quale rientrano nella categoria Orange Wine, caratterizzati, appunto, dal così detto quarto colore, aranciati. Sarà dunque una scelta stilistica dell’azienda portare il vino ad essere più o meno ‘orange’, in base anche a luogo dove viene fatta avvenire la macerazione, se anfora, botte o silos.
Ma cosa devo aspettarmi nel mio calice?
Più è lunga la macerazione più la mia vista apprezzerà sfumature cromatiche che andranno dal giallo oro intenso al giallo ‘aranciato’ all’ambra. Al naso potrò captare sentori di frutta a polpa gialla come pesca e albicocca via via sempre più maturi, floreali come camomilla anice e lavanda, incrementa l’agrumato la speziatura e la balsamicità. Al palato ritrovo i sentori olfattivi una spiccata acidità e spiazza l’astringenza dei tannini (caratteristica primaria dei vini rossi).
Per questo motivo anche gli abbinamenti potrebbero risultare azzardati, ad esempio con carni bianche, salumi, formaggi ma anche piatti a base di pesce come le zuppe.
Come cita una nota pubblicità “l’antico vaso andava salvato’, ebbene, a riportare in auge l’antica tradizione dei vini bianchi macerati fu, agli inizi del nuovo millennio Josko Gravner.
Nel 2000 Gravner dopo una visita a Kakheti nel Caucaso, è attratto dal loro tradizionale metodo di vinificazione, dove il vino matura in grandi anfore (Qvevri) sepolte sottoterra.
Così ha voluto portare con sé, in Italia, 46 qvevri e dar vita alla sua produzione a Oslavia, poco fuori Gorizia, tra l’Itala e la Slovenia.
Con il suo ‘Ribolla Gialla Anfora Gravner’, stravolge il mercato del vino.
Il vitigno, infatti, si presta bene alle lunghe macerazioni, ecco perché è importante sottolineare che solo con determinate uve è possibile dar vita agli Orange Wine.
Ma, fortunatamente la nostra Penisola ha una grandissima varietà viticola ed è possibile degustare questi vini viaggiando da Nord a Sud.
Nella zona Nord-Ovest possiamo citare altri grandi produttori come Stanko Radikon con il suo
‘Venezia Giulia Ribolla Gialla IGT’ ribolla gialla 100%, Damijan Podversic con ‘Venezia Giulia Malvasia Istriana IGT’ 100% Malvasia Istriana, la Cantina di Paolo e Valter Vodopivec con il ‘Vitovska Vodopivec’, 100% Vitovska.
Spostandoci verso Est nella zona dei Colli Euganei potremmo citare ‘Vino Bianco “Amphora’- Castello di Lispida con Ribolla Gialla e Tocai Friulano, proseguendo verso la costa, nella zona ligure troviamo un’altra chicca, l’’Harmoge’ di Walter de Battè, Bosco 40%, Vermentino 40%, Albarola 20%, e lo ‘Spigau Senza Tempo’ azienda Rocche del Gatto con Pigato e Vermentino, in Emila-Romagna ‘Bianco ‘Ageno’ La Stoppa’ Malvasia di Candia 60%, Ortugo e Trebbiano 40%.
Nel Beneventano Bianco IGT “Il Tempo Ritrovato” – Podere Veneri Vecchio, Grieco 50%, Cerreto 50% con 12 giorni di macerazione e per finire nel tacco della penisola Puglia Bianco IGT “Bombigiana” – Progetto Calcarius, bombino bianco 100%. Ma non ci dimentichiamo delle isole ‘Granazza’– Sedilesu, 100% Granazza e in Sicilia ‘Integer’ di Marco De Bartoli. Zibibbo 100%.
Prosit
Stefania Rocca
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