Elogio del Fake: L’epopea di Rudy Kurniawan – Decantico

Elogio del Fake: L’epopea di Rudy Kurniawan

Misterioso manipolatore, ambizioso nerd, perfezionista ossessivo. Questa è la storia di Zhen Wang Huang, alias Rudy Kurniawan (pseudonimo creativamente preso in prestito ad una star indonesiana di badminton), per gli amici Dr. Conti, salito agli onori della cronaca come il più grande falsario di fine wines.

Rudy Kurniawan

Gli esordi

Nasce a Jakarta nel 1976 e nel 2000 arriva in California con un visto da studente. Ma il ragazzo non si iscrive né a legge, né a medicina, frequenta invece un’enoteca di Los Angeles e il suo studio matto e disperatissimo ha come unico scopo la conoscenza dei migliori vini francesi.

Rivela fin da subito un insolito talento e una grande memoria gustativa che gli consente di memorizzare il profumo e il sapore di ogni singola bottiglia e di ogni singola annata! Insomma un “supertaster”, ovvero un super degustatore con una densità di papille gustative superiore alla media. Ma Kurniawan dimostra di avere anche uno spiccato senso degli affari.

Nel 2001 intuisce che il trend della Borgogna che si sta diffondendo in America, può rivelarsi una fonte alquanto redditizia. Comincia a frequentare il più esclusivo wine club di Los Angeles e si stima che in un anno abbia speso circa mezzo milione di dollari in vino, e che la cifra sia salita rapidamente e vertiginosamente, fino ad arrivare a 5 milioni. Un po’ strano forse per un giovane disoccupato di 25 anni.

Il ragazzo racconta di disporre di un fondo fiduciario familiare, il trascurabile dettaglio che non rivela è però che in realtà quel denaro proviene dalle frodi che gli zii hanno operato a carico di alcune banche indonesiane. Un vero e proprio vizio di famiglia!

Ma da dove arrivino i suoi soldi è irrilevante per i suoi amici di bicchierate. Che egli sia il fratello illegittimo di Paris Hilton o il figlio del Rockfeller indonesiano poco interessa, l’importante è che i calici vengano ogni volta riempiti con rari, eccellenti e costosissimi vini.

L’apice

Nel 2002 tutti conoscono il nome di Rudy Kurniawan. Il giovane trascorre il suo tempo partecipando alle aste per riuscire ad aggiudicarsi i lotti più prestigiosi.

Nel 2003 si trasferisce nell’Upper East Side, il quartiere più ricco di New York, ed entra nel wine club più ricco della città, noto come “The 12 hungry men”. Le loro cene che più che riunire raffinati estimatori del buon vino sono occasioni di esibizionismo ed ostentazione del lusso. Testimoni raccontano di calici di La Tache blasfemamente svuotati per far posto al Romanée-Conti di turno. Le bottiglie aperte vengono sbandierate sul web, sui blog e finiscono perfino sul sito di Robert Parker.

Kurniawan si integra perfettamente tra questi enosnob: guida una Lamborghini, sfoggia orologi di lusso e appariscenti dress code. Diventa il leader di questo “fight club di fine wines” portando alle cene bottiglie ogni volta più rare. Queste occasioni sono perfette per testare quelle bottiglie che Rudy nel tempo libero si diletta a contraffare nel suo laboratorio artigianale della modesta casa di Los Angeles.

Grazie alla sua mirabile memoria olfattiva e al suo palato eccellente, ricrea il gusto di ogni superbottiglia, facendo dei blend con ben più accessibili Pinot Nero della Napa Valley.

Nel 2006 vengono organizzate due leggendarie aste, in cui sono messe in vendita circa 12.000 bottiglie della cantina del millantatore indonesiano. In questi lotti c’erano bottiglie introvabili de la Romanée-Conti, come quelle del ’45, che perfino il direttore del famoso Domaine affermava di non aver mai avuto il privilegio di vedere al suo cospetto.

Ci sono già indizi a sufficienza per mettere in dubbio la veridicità dei vini, ma incredibilmente nessuno dice nulla, sembrano tutti offuscati dall’arte di prestidigitazione del magico Kurniawan.

I più importanti collezionisti di tutto il globo accorrono per partecipare alle due aste. Il ricavato si attesta intorno ai 35 milioni di dollari, un record assoluto nel mondo del vino!

Eppure dopo appena qualche mese cominciano a circolare voci sul fatto che molte di queste bottiglie una volta aperte, vengono restituite come false.

Il declino

Nel 2008 viene annunciata una nuova asta. In quello che a posteriori sembra un delirio di onnipotenza, vengono inserite anche alcune bottiglie del Domaine Ponsot degli anni ’50 e ’60. Un po’ improbabile visto che l’azienda aveva cominciato la sua produzione solo nel 1982!

Dietro il reclamo di Monsieur Ponsot il lotto viene ritirato. Da quel momento il produttore francese assume il ruolo di giustiziere. Decisamente insospettito, incarica un investigatore privato di far chiarezza sul nebuloso operato dell’indonesiano. Nel frattempo anche l’FBI indaga.

La distruzione delle bottiglie contraffatte

Nel 2012 sono state raccolte prove a sufficienza per arrestare Rudy Kurniawan. Il processo inizia nel dicembre del 2013. La difesa sostiene che le 19.000 etichette rinvenute nella casa di Arcadia dovessero servire per decorare la casa: un enorme arazzo di Grand Cru!

Il giovane prodigio della contraffazione viene condannato a dieci anni di carcere. Nell’aprile del 2021 un Kurniawan un po’ contrariato per non aver ottenuto un posto in business class, viene definitivamente espulso dagli Stati Uniti.

Il lieto fine

Ma il talento dell’ingegnoso indonesiano continua a stupire. Maureen Downey esperta di frodi vinicole, racconta che attualmente è lo special guest di alcune cene, in cui degli eccentrici miliardari lo incaricano di falsificare le più prestigiose etichette francesi per confrontarle con gli originali. Indiscrezioni dicono che tra l’altro i vini contraffatti verrebbero preferiti dagli ospiti perché ritenuti “più freschi”! Contenti loro!

La storia di Rudy Kurniawan rimane un caso affascinante, da cui nel 2016 è stato tratto il film “Sour grapes”. La sua truffa nasce da un insieme di comportamenti accuratamente concertati, da un ricco repertorio di astuzie, mistificazioni e sottigliezze psicologiche, studiate per persuadere le sue vittime.

La logica del branco ha completato la sua opera, oscurando agli occhi dei più quello che appare oggi come lapalissiano. Così convincente da essere riuscito a vendere più magnum di Chateau Lafleur del 1947 di quante ne siano mai state prodotte.

Si stima che migliaia di sue bottiglie siano ancora in circolazione, tenute nascoste da chi si vergogna di essere stato truffato o conservate come reliquie da qualche ignaro collezionista.

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