Di Jura, Vin Jaune e altre verità confutabili – Decantico

Di Jura, Vin Jaune e altre verità confutabili

Tra le cose che più mi affascinano del mondo del vino, sicuramente troviamo l’assenza di assiomi o di sentenze incontrovertibili.

Non esiste una verità assoluta, o almeno, l’arte di fare vino non trasmette mai un messaggio veicolante una verità intoccabile, come invece accade non di rado in molti altri ambiti.

Ogni elemento del vino è in continua evoluzione e, escludendo pratiche poco ortodosse e ovviamente quelle dannose, c’è campo aperto per sperimentare ed esplorare.

Qualche giorno fa pensavo al paradosso dell’ossidazione: il medesimo concetto che è al tempo stesso difetto ed effetto desiderabile, a seconda delle latitudini, delle tradizioni del luogo in cui ci troviamo a produrre vino e della visione della mano che incontra l’uva.

Una conformazione geologica unica

La Jura è un territorio, a pochi passi dalla Svizzera, caratterizzato da una conformazione geologica peculiare e una componente minerale unica, che consente di produrre vini più influenzati dal sottosuolo che dalle caratteristiche intrinseche del vitigno impiantato.

La zona meridionale è caratterizzata da terreni rocciosi, formati da terreni con argille e marne; la zona centrale invece presenta terreni più particolari, caratterizzati da marne grigie, blu e nere – nella zona di Arlay e de l’Etoile – e terreni in cui troviamo argilla e silice in abbondanza – come nella zona di Chateau-Chalon; al settentrione, nella zona di Arbois, troviamo infine marne e argille più pesanti – che rendono la zona vocata alla produzione di vini rossi.

La Jura è comunque terra di bianchi: circa il 70% della scarna superficie vitata è occupata da vitigni a bacca bianca – allevati principalmente tramite guyot.

Lo Chardonnay è il vitigno più impiantato, ma il vitigno simbolo del territorio è sicuramente il Savagnin – il Traminer sotto mentite spoglie, o comunque suo vicinissimo parente – caratterizzato da bassa produttività ma un potenziale latente che si esprime al massimo solo in queste zone, aiutato dalle sopracitate marne blu.

Ossidazione Mon Amour?

Ma torniamo a parlare della non sussistenza di verità inconfutabili: se ci troviamo in Jura, ad esempio, l’ossidazione passa dall’essere un difetto evitabile in ogni modo possibile, all’essere attivamente ricercata e tramandata come pratica atta a nobilitare proprio il vitigno principe di questo luogo: il Savagnin.

Sì perché in Jura, lavorare a botti scolme è prassi, è tradizione, è pratica comune; quindi poi capita che chi proponga l’opposto diventi un pioniere, un innovatore, quasi un rivoluzionario: è il caso di Pierre Overnoy, che negli anni ‘80 donò al mondo la sua personale versione non ossidativa (ouillé – laddove pas ouillé significa “senza colmature”) del Savagnin.

Un contrasto senza scontro, che diviene un confronto continuo con ciò che di più l’uomo ama nel vino: il controllo della natura, che è utopico, di fatto irrealizzabile, perché se esiste un corretto approccio al vino, e alla vinificazione, è proprio da cercarsi in quelle intuizioni geniali che lasciano che il vino vada verso l’uomo – senza forzature, senza che l’uomo strappi il vino alla terra.

È la magia del vino: in uno stesso territorio convivono due idee agli antipodi – ed entrambe danno risultati straordinari, come nel caso del Vin Jaune – celeberrimo vino ossidativo tipico di questo territorio.

Il Vin Jaune e il valore del tempo

Sono purtroppo pochi i vini ossidativi che occupano spazio nelle cantine e nel cuore dei bevitori appassionati di vino: sicuramente il primo che viene in mente è lo Sherry di Jerez de la Frontera.

C’è chi dice che un Vin Jaune possa essere accostato a uno Sherry fino, per le caratteristiche organolettiche che presenta; ma procediamo per gradi.

Per produrre il Vin Jaune, le uve di Savagnin sono raccolte quanto più tardi possibile, per garantire una maturazione ottimale; in seguito vengono fatte fermentare in botti scolme, per almeno sei anni.

Man mano che il vino evapora, si forma un sottile velo di lievito sulla superficie (in tutto e per tutto simile alla flor dello Sherry – se non fosse che la flor è più spessa, grazie alle temperature tendenzialmente più alte) che alla fine porta effettivamente a un profilo gustativo simile a quello del vino ossidativo spagnolo.

Al termine dei sei anni, vengono assemblati vini di diverse partite e si procede all’imbottigliamento nelle tipiche clavelin, bottiglie inventate appositamente nel 1700, con una capacità di 62 cl, corrispondente alla quantità di liquido residuo al termine della permanenza nelle botti – a partire dai 100 cl iniziali.

Il valore del tempo qui è duplice: da un lato perché sei anni di permanenza in botte sono letteralmente un’eternità, che viene restituita al produttore e al consumatore sotto le vesti di un’incredibile longevità: i Vin Jaune raggiungono buone doti di maturità nell’arco di 15 anni, ma possono addirittura andare avanti per un secolo (nelle migliori annate).

La vocazione gastronomica

Stappiamo il Vin Jaune di Domaine de La Renardiere, annata 2014.

È un vino che galleggia nel tempo, lo occupa senza essere d’ingombro o d’intralcio: è un vino d’altri tempi, se vogliamo, anche un po’ anacronistico: in un mondo che ci vuole sempre di corsa, il Vin Jaune ci obbliga a fermarci, a soffermarci.

Ci obbliga a guardare il colore giallo-ocra, con le sue sfumature dorate, calde, brillanti, ammalianti, dapprima in assoluto poi nell’incontro con la luce.

Portandolo al naso non possiamo che essere abbagliati dall’ampiezza e dalla complessità dei sentori che si presentano e si susseguono: dalle albicocche disidrate, alle noci, alle nocciole e alle mandorle tostate, con eleganti richiami di miele di castagno, noce moscata e zafferano.

L’incontro con il formaggio erborinato è un continuum, senza barriere, come due lati della stessa medaglia.

La cremosità dell’erborinato trova un riscontro perfetto nello specchio dorato del Vin Jaune e un finale glorioso nel retrogusto amaricante condiviso.

La pastosità del formaggio viene lavata via dal corpo snello, a tratti viscoso, sempre alcolico del vino in un equilibrio che danza sulle punte sulle papille gustative: estasi.

È un vino che ci conduce fino al momento presente, obbligandoci a contemplare lo scorrere del tempo: quello stesso tempo che ha portato il Savagnin a sublimare la sua essenza, diventando Vin Jaune.

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