Di cantine, di vini e di arte.
Nell’agenda di ogni enoappassionato che si rispetti, c’è un’annotazione che si ripete con cadenza periodica: visita in cantina.
Questo evento si verifica ogni qual volta che il wine lover si trova ad esplorare, per una qualsiasi ragione, un territorio in cui venga prodotto del vino. Devo andare per lavoro a Torino, quasi quasi faccio una deviazione nelle Langhe; devo andare alla laurea di mio figlio a Milano, quasi quasi faccio un salto in Franciacorta; devo andare al matrimonio dei cugini a Bari, quasi quasi vado a trovare quel produttore di bombino bianco in anfora di cui mi hanno tanto parlato. Invane le timide proteste di amici e parenti ormai rassegnati. Niente distoglie l’enofilo dal suo progetto didattico. La visita in cantina è un obbligo morale a cui non ci si può sottrarre. Si visita l’azienda, si chiacchiera con il produttore, si ammirano i vigneti, si assaggiano i vini e naturalmente si acquistano le bottiglie.
Talvolta però la visita in cantina diventa anche una sorta di esperienza immersiva nel mondo dell’architettura, del design e dell’arte in generale. Abbiamo già parlato del sodalizio arte e vino, che spesso si concretizza nelle etichette d’autore. Vino e arte. Entrambi prodotti antropici. Entrambi espressione di un’idea. Ricordate i Triple A? Agricoltori, Artigiani e Artisti. Dunque non sorprende notare come questa vena estetica si sia estesa anche al luogo in cui il vino viene prodotto: la cantina.
Un tempo erano le abbazie e i monasteri. Poi si furono gli Chateaux di Bordeaux. Oggi sono le cantine di design. Per la realizzazione ci si rivolge ad architetti multicelebrati, ad artisti avanguardisti che celebreranno la cantina e ai suoi produttori.
Le cosiddette cattedrali del vino sono sorte ovunque nel mondo. Seguono i principi della bioedilizia, utilizzano energie rinnovabili, prevedono la vinificazione per gravità, sfruttano la naturale termoregolazione del suolo. Sono ecosostenibili e si integrano perfettamente nell’ambiente. Coniugano estetica e tecnologia.
E dal momento che c’è sempre qualcuno che si preoccupa di stilare una classifica per tutto, ovviamente non poteva mancare anche un ordinato elenco delle cantine più fashion del globo. Nel 2023 il premio è andato a Catena Zapata. Questa cantina argentina, o Bodega per essere più autoctoni, si trova ai piedi della catena delle Ande. Tanto basterebbe a farla diventare un posto esclusivo. Ma siccome l’Italia è il Bel Paese, è ovvio che nella Hall of Fame debba per forza essere presente anche una cantina nostrana. Nel 2022 il premio è stato infatti assegnato alla toscanissima Cantina Antinori. Visitare almeno una volta nella vita questa Mecca del vino è un dovere da cui nessun seguace di Bacco può esimersi. Qui i vini nascono dal ventre di Madre Natura, in una cantina ipogea. Un progetto geniale e ancestrale. Sarà come seguire nel buco il Bianconiglio ed entrare nel Paese delle Meraviglie.
Se invece durante una delle vostre gite enologiche vi capiterà di passare davanti a Ca’ del Bosco in Franciacorta, vi sentirete come davanti al Nero Cancello che sbarra l’accesso a Mordor de “Il Signore degli Anelli”. Solo che questo è dorato. Il Cancello Solare è opera dello scultore Arnaldo Pomodoro e l’apertura vi introdurrà nel mitico regno di Maurizio Zanella, costellato di opere d’arte contemporanea.
Lo stesso artista è stato scelto anche da un’altra azienda produttrice di eccellenze del metodo classico: la famiglia Lunelli, della casa spumantistica Ferrari. Nella loro Tenuta Castelbuono, a Montefalco, tra le vigne di Sagrantino si staglia una sagoma bronzea. Questa volta a me ricorda più un set di un film di fantascienza: è il guscio di un’enorme testuggine. È il celebre Carapace: un po’ cantina e un po’ scultura.
Da nord a sud queste cantine dall’aspetto futuristico assumono spesso un significato simbolico e diventano icone di quelle vigne che le circondano. In Trentino c’è la Cantina Tramin, un enorme tralcio di vite; in Piemonte il celebre Acino di Ceretto è un tempio che si erge sull’anfiteatro delle vigne; in Toscana Cantina Petra ricorda un totem ricoperto da giardini pensili; in Sicilia, nel bel mezzo di una colata lavica dell’Etna, la cantina Feudo di Mezzo è un bunker che protegge i suoi vini dalla natura più violenta.
Sono templi enologici, sono musei, sono teatri per incontri ed eventi. Hanno una funzione estetica (perché il bello piace a tutti), sono didattiche (perché la cultura fa sempre bene) e sono funzionali (perché va bene essere belli e bravi, ma il vino deve essere buono!).
Però quando entro in queste cantine perfette, bellissime, immense ed impressionanti, a volte ho l’impressione che un hostess sorridente mi porgerà educatamente un’audioguida per fare la visita. Io voglio poter incontrare chi il vino lo produce, per ascoltare il suo racconto; poco importa se degusteremo i vini in una stanza che è un po’ ufficio, un po’ sala degustazione e all’occorrenza anche un po’ magazzino. La mia visita in cantina è quella delle chiacchiere tra pile disordinate di fogli, foto sbiadite e bottiglie piene a metà.
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