Dagli abissi all’alta quota, dai bunker allo Spazio: i luoghi più insoliti in cui si affina il vino
Che si guardi all’originalità come al vero segreto del successo o, piuttosto, come a un trucco da eccentrici una cosa è certa: l’insolito ha un fascino a cui è difficile resistere.
È impossibile, per esempio, restare indifferenti davanti ad un vino affinato a 2000 metri d’altitudine, all’interno di una vecchia miniera – come il “Beyond the Cloud” di Elena Walch o ad uno Spumante messo a dimora in un ex bunker – è il caso dell’altoatesino “Praeclarus” -; le singolarità, infatti, anche nel mondo del vino sono innumerevoli e molte di queste coinvolgono proprio i luoghi in cui si sceglie di far affinare il preziosissimo nettare di Bacco.
Quello degli underwater wines, per esempio, è ormai da considerarsi un vero e proprio fenomeno. A questo riguardo, pare che tutto abbia avuto inizio nel Mar Baltico, con il recupero, da vascelli affondati nell’Ottocento, di alcune bottiglie di Veuve Clicquot-Ponsardin, Heidsieck e Juglar; in tale occasione, infatti, al fascino della scoperta si aggiunse lo stupore: i risultati delle analisi sullo stato di conservazione rivelarono che tutte le bottiglie avevano mantenuto intatte non solo le principali caratteristiche organolettiche ma anche la composizione chimica.
Come si può facilmente immaginare, la fantasia di molti produttori non tardò ad accendersi e, da allora, le sperimentazioni si sono andate rincorrendo; oggi, se si volessero enumerare i vini affinati in acqua, si perderebbe di certo il conto. Tra i più celebri però vi è, certamente, “Abissi” della cantina ligure Bisson; in questo caso il progetto ha preso il via nel 2009, con l’immersione, nei fondali marini a largo delle coste di Portofino – a una profondità di 60 metri -, di 6500 bottiglie di Spumante Metodo Classico, lasciate poi a riposare per 26 mesi.
Visti i risultati eclatanti dell’esperimento – lo Spumante rivelò un profilo piacevolmente complesso, segnato da una peculiare sapidità – il numero delle bottiglie inabissate è andato crescendo con gli anni, fino a raggiungere le 30 mila odierne; “Abissi” è diventato il cavallo di battaglia dell’intera produzione Bisson ed è, ormai, ricercatissimo all’estero.
Dalle profondità marine ai 2000 metri delle cime innevate il passo, in fondo, è breve: gli estremi, com’è noto, si toccano sempre. Oltre a Elena Walch – che abbiamo citato inizialmente e che dal 2011 riserva almeno 1200 bottiglie per tipo all’affinamento in alta quota – è da considerarsi paladino di questo tipo di invecchiamento anche Bruno Carpitella, ideatore del progetto Vini d’Altura. Bruno non produce vino, piuttosto lo seleziona – partendo da un accordo con i viticoltori e lo porta in autunno a 2000 metri, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso; qui le bottiglie sono ospitate in cantine mobili – che lui stesso ha progettato – per tutto l’inverno, sotto la neve.
In questo caso, i parametri microclimatici, la purezza dell’aria e l’interazione con il particolarissimo substrato minerale segnano inevitabilmente i vini e, oltre ad accentuarne la freschezza, sembrano conferirgli delle caratteristiche note balsamiche.
In questi anni, a Cerasuolo, Montepulciano e Pecorino, hanno fatto seguito Nebbiolo, Marzemino, Morellino e Negramaro; non manca, poi, lo Spumante d’Altura, anche Rosé.
A questo punto, verrebbe da chiedersi: dopo l’affinamento a 2000 metri, cos’altro può esserci?
Quello nello Spazio, ovviamente!
Proprio lo scorso anno, la capsula Dragon 2 della Space X, agenzia di Elon Musk, ha fatto ritorno sulla Terra con un carico a dir poco speciale: 12 bottiglie di Petrus 2000, della prestigiosa cantina di Bordeaux, lasciate ad invecchiare sulla ISS, Stazione Spaziale Internazionale, per quattordici mesi.
Al rientro hanno fatto, poi, seguito sia i test dell’Istituto di Scienze del Vino dell’Università di Bordeaux che una degustazione alla cieca; i primi hanno rivelato che la qualità del vino era rimasta inalterata, mentre la seconda – in cui le bottiglie della ISS sono state confrontate con altre della stessa annata affinate tradizionalmente – ha dato modo di constatare che le differenze tra le prime e le seconde non erano così marcate, anche se il vino della ISS sembrava presentare una più significativa evoluzione.
Moltissimi sono, ovviamente, i fattori da analizzare, in questo particolare caso, per arrivare a comprendere – o quantomeno avvicinarsi – tutti i dettagli di un affinamento tanto singolare; microgravità e radiazioni solari/cosmiche sono, infatti, solo alcune delle incognite e proprio perché la strada della ricerca è ancora lunga e di più ampio respiro – si parla, infatti, di indagine agroalimentare – si è pensato di vendere in un’asta privata una delle bottiglie della ISS e di finanziare, con il ricavato, altre missioni spaziali analoghe.
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